In uno di questi giorni di pioggia ho fatto un’intervista a una coppia di agricoltori diretti, che si dedicano a quest’arte da parecchio tempo. Volevo capire come funziona un’azienda agricola che si dedica più che alla quantità alla qualità e alla cura del prodotto.
Il racconto è stato molto interessante ed è riuscito a comunicarmi la passione che questa coppia dedica al proprio lavoro.
Il racconto è iniziato con la descrizione della zona e dei loro appezzamenti che si trovano in un’area pianeggiante a San Paolo di Civitate, località in provincia di Foggia e all’altezza di Roma. Nei mesi invernali San Paolo è un luogo piuttosto freddo, ma raramente gela, nonostante arrivino i venti del Nord e sia una zona montuosa.
Le loro terre sono dedicate ad ulivi, da cui ricavano olio extravergine d’oliva, e vitigni da vino (Montepulciano d’Abruzzo DOC, Trebbiano toscano DOC, vino bianco di san Severo, un piccolo appezzamento dedicato allo Chardonnay e infine un filare di 100 viti di Syrah messe a dimora quest’anno).
Una piccola curiosità: le viti di San Severo sono quelle utilizzate dai francesi quando le loro viti erano state colpite dalla Fillossera e quindi avevano usato le viti pugliesi come porta-innesto (cioè erano state utilizzate come base della pianta su cui poi era stata innestata la vite francese) in quanto più resistenti a questa malattia.
Hanno anche delle viti da uva da tavola che però usano esclusivamente per il consumo familiare.
La signora Susanna e il signor Peppino fanno tutto dalla A alla Z, controllano tutto dalla pianta alla bottiglia e non si lasciano sfuggire nulla. Le lavorazioni delle uve le fanno esclusivamente in loco, infatti hanno la cantina con tutti i macchinari e le adeguate botti. Questa sicuramente è la cosa che è più importante quando ci si dedica a questo lavoro: seguire la lavorazione di un prodotto complicato e delicato come il vino e vederlo nascere dal proprio impegno passaggio dopo passaggio, con cura e attenzione per la qualità.
I due intervistati mi hanno detto che per sterilizzare l’uva in modo che non si formino batteri e che il vino si rovini usano solfiti di potassio. Al momento non ho approfondito con ulteriori domande, ma successivamente ho fatto una breve ricerca, scoprendo che è vero che la maggior parte dei produttori usa solfiti o anidride solforosa. I solfiti sono usati non solo per la birra, ma per molti altri alimenti per le loro proprietà antiossidanti e antimicrobiche. In altre parole evitano che gli alimenti,
soprattutto al contatto con l’aria, perdano il colore naturale e assumano un aspetto poco invitante (pensate, ad esempio, all’imbrunimento della frutta tagliata). Inoltre, questi additivi contrastano lo sviluppo della flora batterica, contribuendo ad una migliore conservazione .
L’azienda agricola dei miei intervistati sicuramente è troppo piccola per cercare altri metodi, che richiedono ben altri macchinari e altro tempo, ma documentandomi sui metodi del vino biologico ho scoperto che è possibile anche produrre solfiti che abbiano gli stessi effetti in modo naturale, così da eliminare dalla catena del vino altri elementi chimici.
Un altro particolare che a mio avviso era importante ,mettere in luce è l’attenzione al periodo di vendemmia: loro vendemmiano quando l’uva è giunta al giusto grado di maturazione in questo modo riescono ad ottenere un ottimo vino. Anche in questo caso la ridotta dimensione dell’azienda, che da un lato non permette alcune scelte, ne permette altre che cercano sempre di seguire la migliore genuinità possibile del prodotto. A questo riguardo l’ultimo particolare che mi ha interessato era la loro attenzione al trattamento delle malerbe che crescono negli interfilari: questi non vengono diserbati, ma viene lasciato un inerbimento spontaneo, cioè si lascia crescere l’erba e si falcia solo quando è troppo alta e può competere idricamente con le viti, in più l’inerbimento con particolari tipi di piante (le rape, il tarassaco, cicoria e il “marasciulo” ed altre senapi selvatiche) contrasta alcune malattie come la Peronospora , malattia tipica delle viti.
In conclusione l’intervista che ho fatto è stata interessante non solo per conoscere i loro metodi di coltura e di produzione del vino, ma anche per capire che la dimensione di un’azienda limita a certe scelte e ne permette altre, ma in ogni caso rimane sempre l’obiettivo di una produzione il più possibile genuina, sana e in equilibrio con la natura.
Il racconto è stato molto interessante ed è riuscito a comunicarmi la passione che questa coppia dedica al proprio lavoro.
Il racconto è iniziato con la descrizione della zona e dei loro appezzamenti che si trovano in un’area pianeggiante a San Paolo di Civitate, località in provincia di Foggia e all’altezza di Roma. Nei mesi invernali San Paolo è un luogo piuttosto freddo, ma raramente gela, nonostante arrivino i venti del Nord e sia una zona montuosa.
Le loro terre sono dedicate ad ulivi, da cui ricavano olio extravergine d’oliva, e vitigni da vino (Montepulciano d’Abruzzo DOC, Trebbiano toscano DOC, vino bianco di san Severo, un piccolo appezzamento dedicato allo Chardonnay e infine un filare di 100 viti di Syrah messe a dimora quest’anno).
Una piccola curiosità: le viti di San Severo sono quelle utilizzate dai francesi quando le loro viti erano state colpite dalla Fillossera e quindi avevano usato le viti pugliesi come porta-innesto (cioè erano state utilizzate come base della pianta su cui poi era stata innestata la vite francese) in quanto più resistenti a questa malattia.
Hanno anche delle viti da uva da tavola che però usano esclusivamente per il consumo familiare.
La signora Susanna e il signor Peppino fanno tutto dalla A alla Z, controllano tutto dalla pianta alla bottiglia e non si lasciano sfuggire nulla. Le lavorazioni delle uve le fanno esclusivamente in loco, infatti hanno la cantina con tutti i macchinari e le adeguate botti. Questa sicuramente è la cosa che è più importante quando ci si dedica a questo lavoro: seguire la lavorazione di un prodotto complicato e delicato come il vino e vederlo nascere dal proprio impegno passaggio dopo passaggio, con cura e attenzione per la qualità.
I due intervistati mi hanno detto che per sterilizzare l’uva in modo che non si formino batteri e che il vino si rovini usano solfiti di potassio. Al momento non ho approfondito con ulteriori domande, ma successivamente ho fatto una breve ricerca, scoprendo che è vero che la maggior parte dei produttori usa solfiti o anidride solforosa. I solfiti sono usati non solo per la birra, ma per molti altri alimenti per le loro proprietà antiossidanti e antimicrobiche. In altre parole evitano che gli alimenti,
soprattutto al contatto con l’aria, perdano il colore naturale e assumano un aspetto poco invitante (pensate, ad esempio, all’imbrunimento della frutta tagliata). Inoltre, questi additivi contrastano lo sviluppo della flora batterica, contribuendo ad una migliore conservazione .
L’azienda agricola dei miei intervistati sicuramente è troppo piccola per cercare altri metodi, che richiedono ben altri macchinari e altro tempo, ma documentandomi sui metodi del vino biologico ho scoperto che è possibile anche produrre solfiti che abbiano gli stessi effetti in modo naturale, così da eliminare dalla catena del vino altri elementi chimici.
Un altro particolare che a mio avviso era importante ,mettere in luce è l’attenzione al periodo di vendemmia: loro vendemmiano quando l’uva è giunta al giusto grado di maturazione in questo modo riescono ad ottenere un ottimo vino. Anche in questo caso la ridotta dimensione dell’azienda, che da un lato non permette alcune scelte, ne permette altre che cercano sempre di seguire la migliore genuinità possibile del prodotto. A questo riguardo l’ultimo particolare che mi ha interessato era la loro attenzione al trattamento delle malerbe che crescono negli interfilari: questi non vengono diserbati, ma viene lasciato un inerbimento spontaneo, cioè si lascia crescere l’erba e si falcia solo quando è troppo alta e può competere idricamente con le viti, in più l’inerbimento con particolari tipi di piante (le rape, il tarassaco, cicoria e il “marasciulo” ed altre senapi selvatiche) contrasta alcune malattie come la Peronospora , malattia tipica delle viti.
In conclusione l’intervista che ho fatto è stata interessante non solo per conoscere i loro metodi di coltura e di produzione del vino, ma anche per capire che la dimensione di un’azienda limita a certe scelte e ne permette altre, ma in ogni caso rimane sempre l’obiettivo di una produzione il più possibile genuina, sana e in equilibrio con la natura.
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